Nella setta, le "autorevoli" falsità di Gazzanni e Piccinni

Pubblicato da Redazione il giorno 30 Gennaio 2019

Con cadenza ciclica, come certe fastidiose cefalee, Carmine Gazzanni, coadiuvato dalla compagna Flavia Piccinni, torna a parlare di "sette" con il solito acume spuntato e l'inesistente obiettività che oramai sono diventati un marchio di fabbrica. Pubblichiamo qui di seguito la recensione del libro fatta dal professor Massimo Introvigne, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni.

The Journal of CESNUR

Recensioni

Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni, Nella setta. Fandango, Roma 2018. Pp. 368. Pb. Euro 18,50. ISBN 9788860445780.
Recensione di Massimo Introvigne, Centro Studi sulle Nuove Religioni, maxintrovigne@gmail.com

Nella setta - copertinaCi si accorge che qualcosa non va in un libro sulle “sette” quando menziona ripetutamente il “professor” Steven Hassan. Qualunque addetto ai lavori in questo campo sa che Hassan è un ex-membro della Chiesa dell’Unificazione che si è dato all’attività lucrosa ma illegale di “deprogrammatore” – che consisteva nel rapire membri adulti di nuovi movimenti religiosi e tenerli poi segregati, sottoponendoli a varie forme di pressione perché lasciassero la “setta” – senza passare da un’educazione accademica. Chi fosse abbastanza curioso da accedere alla pagina Linkedin di Hassan scoprirebbe che nel 1985 ha conseguito un diploma in pedagogia al Cambridge College, un’oscura istituzione di Charlestown, nel Massachusetts, da non confondersi con la famosa Università di Cambridge, in Inghilterra, e si propone di conseguire nel 2020 un dottorato alla Fielding Graduate University, una scuola debitamente accreditata ma che è nota principalmente per permettere a professionisti di una certa età di ottenere dottorati attraverso corsi seguiti prevalentemente online. Credo che Hassan sarebbe il primo a stupirsi che qualcuno lo chiami “professore”. Quanto a qualificarlo come “il massimo esperto mondiale di manipolazione mentale” (6), Hassan sarebbe probabilmente anche d’accordo sul fatto che il 95% dei membri del gruppo “Nuovi movimenti religiosi” dell’American Academy of Religion – di cui non fa parte – considerano la sua teoria della manipolazione mentale, per usare un eufemismo, totalmente inaccettabile.

Questo è solo uno dei molti problemi di Nella setta, scritto da due giornalisti italiani specializzati soprattutto in criminalità organizzata, che peraltro ha anche alcuni lati positivi. Primo, il libro è di facile lettura. Piccinni e Gazzanni sono capaci di scrivere in un italiano giornalistico scorrevole, il che rende il libro più leggibile di altre diatribe contro le “sette” la cui caratteristica principale è di essere mortalmente noiose. Secondo, la coppia conosce almeno le regole della buona educazione. Personalmente sono abituato a essere insultato dai consueti energumeni che scrivono contro le “sette”, mentre qui le mie opinioni sono riferite in modo critico ma rispettoso – anche se, avendo frequentato qualche personaggio pittoresco del mondo anti-sette italiano, gli autori non resistono alla tentazione di menzionare che ho scritto un libro e diversi articoli sui vampiri, come se fosse qualche cosa di riprovevole. Sconsiglio di rivolgersi per informazioni al “professor” Hassan, ma una rapida ricerca su Internet dovrebbe persuadere gli autori che i “vampire studies”, cioè lo studio della letteratura e delle credenze sui vampiri, costituiscono un settore accademico riconosciuto da qualche decennio. Il più recente manuale sul tema, del professor Nick Groom, è appena stato pubblicato – nell’ottobre 2018 – da Yale University Press. 

Nonostante la sua encomiabile scorrevolezza, il libro non offre un resoconto neppure minimamente obiettivo dei gruppi che attacca come “sette”, per quattro principali ragioni. Primo, Piccinni e Gazzanni ci offrono delle selezioni sommarie ma non false della letteratura dei vari movimenti e delle presentazioni che hanno incontrato quando li hanno visitati sotto mentite spoglie. Ma le loro presentazioni sono tendenziose da due punti di vista. In primo luogo, sono colorate da aggettivi e commenti che rivelano immediatamente i loro pregiudizi. Già nelle prime pagine del libro, vediamo gli autori entrare nella sede milanese di Scientology, dove li accoglie una ragazza addetta al ricevimento. La donna è descritta con un volto dove occhi “da alligatore” fanno da pendant a denti “cavallini”. Calcare la mano su veri o presunti difetti fisici dei membri per creare un’immagine sinistra di un gruppo è il grado zero dell’intolleranza e non è neppure buon giornalismo, è semplicemente cattivo gusto. Lo stesso uso evocativo e non necessario di aggettivi derogatori accompagna la descrizione di Damanhur.

In secondo luogo, gli elementi chiave della teologia di ciascun gruppo sono spesso omessi, mentre l’attenzione si concentra su dettagli secondari ritenuti adatti a presentare il gruppo come sgradevole o bizzarro. Com’è tipico di qualche centinaio di pubblicazioni anti-sette, il sommario delle teorie di Scientology sulle origini dell’umanità si concentra sugli insegnamenti esoterici relativi a extraterrestri e guerre stellari primordiali, che sembrano strani a chi non fa parte del movimento – e ancora più strani se presentati fuori del loro contesto. La dottrina fondamentale di Scientology, quella del thetan, non è veramente spiegata da nessuna parte. Le tecniche di sessualità tantrica di MISA, il Movimento per l’Integrazione dello Spirito nell’Assoluto, sono ampiamente discusse, ma il lettore non scoprirà nel libro qual è il loro centro, la “continenza”, cioè la teoria secondo cui un orgasmo senza eiaculazione garantirebbe certi benefici fisici e spirituali. Gli esempi potrebbero proseguire, ma la conclusione è che il libro non è interessato a spiegare in che cosa credono i membri delle “sette” ma solo a mostrare che sonno “strani” e quindi pericolosi. Gli autori potrebbero obiettare che ogni tanto citano qualche studioso, compreso il sottoscritto. Ma queste citazioni hanno un ruolo minimo nell’economia dell’opera, e spesso provengono da quella piccola minoranza di studiosi che condividono questo o quell’altro aspetto della prospettiva anti-sette. Il lettore che non ha familiarità con la letteratura specializzata non sa che la stragrande maggioranza degli studiosi accademici di nuovi movimenti religiosi è risolutamente ostile a questa prospettiva.

Il terzo problema è che il volume esordisce con un approccio piuttosto confuso alla definizione di che cosa sia una “setta” e, arrivati alla fine del libro, ci si accorge che la confusione è aumentata. Gli autori insistono su due associazioni italiane. La prima è Il Forteto, una cooperativa agricola toscana cui magistrati affidavano minori difficili o fisicamente handicappati perché fossero assistiti. Sentenze di tribunali italiani hanno ora accertato che i minori diventavano vittime di maltrattamenti e abusi sessuali nella cooperativa, i cui leader erano autentici predatori sessuali. Mentre il caso del Forteto, almeno nei suoi aspetti salienti, è già stato valutato da sentenze dei tribunali, Un Punto Macrobiotico – un vero e proprio impero delle diete e della meditazione fondato da Mario Pianesi – è tuttora oggetto di indagini. Pianesi è sospettato di avere abusato di numerose donne attratte dalle sue promesse di diete miracolose, e perfino dell’omicidio di una ex moglie. Gli autori criticano gli studiosi accademici di nuovi movimenti religiosi per avere ignorato Il Forteto e Pianesi, benché i loro gruppi siano spesso definiti “sette” dai media italiani. Se però, come sembra all’inizio del libro, una “setta” è un gruppo religioso con caratteristiche discutibili o criminali, questi due gruppi sono difficili da ricondurre alla categoria, perché non sono movimenti religiosi.

Anche nei limiti dei movimenti più facilmente identificabili come religiosi, gli autori sembrano non rendersi conto che caratteristiche descritte nel libro come tipiche delle “sette” si ritrovano in molte religioni. Come mostro in un articolo di questo stesso numero del Journal of CESNUR, la pratica della “disconnessione”, cioè della rottura dei rapporti con gli ex-membri “apostati” che si trasformano in critici militanti della religione che hanno lasciato, non è un’esclusiva dei Testimoni di Geova o di Scientology, ma è ricorrente nella storia del cristianesimo, dell’ebraismo e dell’islam. E naturalmente fare pressioni per ricevere donazioni o mostrarsi interessati al denaro è una caratteristica di molti gruppi religiosi, non solo delle “sette”. Sembra poi davvero singolare prendersela con le “sette” per qualche caso di abuso sessuale, dopo episodi di dimensioni molto più allarmanti all’interno del clero cattolico.

Il quarto problema del libro è che quando ci si affida principalmente a fonti Internet e pubblicazioni anti-sette si paga un prezzo, riportando necessariamente informazioni non verificate o false. Potrei trascurare il fatto che di me si afferma che sarei stato “nel 2016… addirittura reggente nazionale dell’Azione Cattolica” (235). Un rapido sguardo a Wikipedia avrebbe rivelato agli autori che nel 2016 ho terminato il mio mandato come reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica, che è ovviamente un’organizzazione diversa dall’Azione Cattolica. Il dettaglio non è troppo importante nell’economia del libro, ma rivela un accostamento piuttosto disinvolto alle fonti, che si ritrova nella ripetizione di statistiche folkloriche e fantasiose, come quella secondo cui quattro milioni di italiani sarebbero coinvolti nelle “sette”.

In effetti, sembra che il libro sia stato confezionato con una certa fretta per due scopi specifici. Il primo è dare voce a una piccola ma agguerrita opposizione alla branca italiana della Soka Gakkai, dopo che questa organizzazione buddhista ha firmato nel 2016 un’Intesa con lo Stato italiano. Il libro ricicla vecchie falsità, smascherate come tali in Giappone e altrove da anni, su presunti rapporti del leader della Soka Gakkai Daisaku Ikeda, una figura rispettata e ammirata da personalità internazionali anche lontane dalla sua religione, con criminali e “padrini” della mafia giapponese.

Il secondo scopo del libro sembra favorire proposte di legge che reintrodurrebbero in Italia una normativa contro il “lavaggio del cervello”, dopo che nel 1981 la Corte Costituzionale ha dichiarato una norma simile, sul “plagio”, incostituzionale. Questo è un tema centrale del libro, ma gli autori non sembrano avere ben compreso la portata della sentenza del 1981. La discussione sul “plagio” divenne importante in Italia  quando la norma, in precedenza quasi mai applicata, fu usata per condannare l’intellettuale comunista Aldo Braibanti (1922-2014), accusato di avere “plagiato” diversi giovani per attirarli in relazioni omosessuali. Il libro a un certo punto afferma che la Corte Costituzionale “prende in carico il caso” (352), inducendo nel lettore l’impressione che “il caso” sia il caso Braibanti, dal momento che altre vicende specifiche di “plagio” non sono menzionate. Questo è un errore che incontro spesso conversando con italiani della mia generazione. Ricordano che Braibanti è stato condannato per “plagio” e ricordano che la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo relativo del Codice penale, e mettono insieme le due cose. Ma sbagliano. In effetti la Corte Costituzionale non esaminò mai il caso Braibanti, e dichiarò l’incostituzionalità della norma intervenendo nel caso di un sacerdote cattolico, don Emilio Grasso, accusato di avere “lavato il cervello” di giovani della borghesia romana, inducendoli ad abbandonare studi e carriere per mettersi al servizio dei più poveri e sofferenti.

A questo errore se ne accompagna un altro, altrettanto frequente. Si dice che la Corte Costituzionale ha creato un vuoto legislativo, invitando il Parlamento a intervenire. Non è così. La Corte ha dichiarato che quello punito come “plagio” era un reato immaginario, e per i reati immaginari non servono norme.

Non sono punti minori. Se avesse menzionato don Grasso, il libro avrebbe dovuto ammettere che le accuse di “lavaggio del cervello” possono essere facilmente rivolte anche contro esponenti delle religioni maggioritarie, non solo delle “sette”. Tra parentesi, don Grasso non è una figura marginale, ma un sacerdote ricevuto e onorato da diversi Pontefici, compreso l’attuale. E questo ci riporta al problema cruciale. Che cos’è una “setta”? Al di là della risposta “un gruppo che i movimenti anti-sette decidono di attaccare” non emergono argomenti obiettivi e convincenti. Né ce ne sono, perché quella di “setta” non è una categoria scientifica, ma una mera etichetta polemica usata per discriminare alcuni nuovi movimenti religiosi. E sul tema dei nuovi movimenti religiosi il libro non è una fonte attendibile. È di scorrevole lettura, e ovviamente denuncia alcuni abusi reali. Ma offre una visione parziale, distorta e inaffidabile della maggioranza dei gruppi che presenta. Che qualche parlamentare della Repubblica si sia fondato sul libro per reclamare interventi pubblici contro le “sette” mostra che l’ignoranza sul tema non è purtroppo prerogativa solo dei giornalisti.

The Journal of CESNUR, Supplement to Vol. 3, Issue 1, January—February 2019, pages I—V.
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ISSN: 2532-2990 | www.cesnur.net | DOI: 10.26338/tjoc.2019.supp.ita.3.1